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TAR Calabria - Annullata ordinanza "no cani in spiaggia libera" di Melito di Porto

italia(Sentenza del TAR Calabria n. 225 del 28 maggio 2014. Tratta dal sito dei Tribunali Amministrativi regionali).

SENTENZA

(omissis)

contro

Comune di Melito di Porto Salvo (omissis)

per l'annullamento

dell'art. 4 lett. G) dell'ordinanza prot. n. 9556 emessa dal Responsabile dell'Area Tecnica del Comune di Melito di Porto Salvo in data 10\5\13 nella parte in cui vieta ai conduttori di animali di poter accedere alle spiagge libere durante la stagione balneare.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Melito di Porto Salvo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2014 la dott.ssa Angela Fontana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di Melito di Porto Salvo ha emesso in data 10 maggio 2013 l’ordinanza balneare 9556, il cui art. 4, lett g), vieta ai conduttori di animali l’accesso alle spiagge libere durante la stagione balneare.

Tale ordinanza – avente efficacia annuale – è stata emanata in attuazione dell’art. 34 del Piano Comunale di Spiaggia (approvato dalla Provincia di Reggio Calabria e recepito dal medesimo Comune con deliberazione del consiglio comunale n 39 del 14 giugno 2012), nonché del Regolamento per la disciplina delle funzioni del Demanio marittimo (approvato dal consiglio comunale con la deliberazione n. 67 del 9 ottobre 2012).

L’art. 32 del citato Regolamento prevede norme di utilizzo delle aree destinate alla libera balneazione e dispone che il Comune “ne garantisce il decoro, l’igiene, la pulizia”.

2. Con il ricorso in epigrafe n. 357 del 2013, le ricorrenti chiedono l’annullamento dell’art. 4, lett. g), della citata ordinanza nella parte in cui ha vietato ai conduttori di animali di accedere alle spiagge libere durante la stagione balneare.

Le associazioni affidano le censure ad un unico motivo di ricorso, nel quale deducono la sussistenza di profili di eccesso di potere per irragionevolezza, la violazione del principio di proporzionalità ed il difetto di motivazione, nonché la violazione degli artt. 13 e 16 della Costituzione.

Secondo la prospettiva delle ricorrenti, l’ordinanza gravata non conterrebbe una adeguata motivazione in ordine ai presupposti che sono stati posti a base del divieto assoluto di conduzione di animali sulle spiagge libere: sia che si tratti di ragioni legate all’igiene che di ragioni legate alla sicurezza dei bagnanti , esse si sarebbero potute adeguatamente tutelare attraverso specifiche disposizioni sui comportamenti dei padroni degli animali. La mancata previsione di zone di spiaggia pet friendly sconfesserebbe un principio pur ribadito nella legislazione regionale e che si esprime nella esigenza di favorire sul territorio un corretto rapporto uomo-ambiente-animale (v. la legge regionale della Calabria n. 41 del 1990).

3. L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio, ribadendo la legittimità degli atti impugnati ed anzitutto deducendo la inammissibilità del ricorso per mancata impugnativa nei termini sia del Regolamento demaniale che del Piano Comunale di Spiaggia, i quali dovrebbero essere qualificati come atti presupposti immediatamente lesivi degli interessi delle ricorrenti.

4. Questo Tribunale - con l’ordinanza n. 174 del 2013 - ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia del provvedimento (nei limiti richiesti dalle ricorrenti), sollecitando il Comune ad individuare due tratti di spiaggia libera ove consentire l’accesso ai conduttori di animali con tutte le disposizioni idonee a garantire il decoro, l’igiene e la pulizia, secondo quanto previsto dall’art. 32 del Piano Spiaggia.

Il Comune - in esecuzione della ordinanza cautelare - con il provvedimento n 15495 del 5 agosto 2013 ha “rettificato” l’art. 4, lettera g), ed ha individuato temporaneamente e solo per la stagione estiva 2013 due tratti di spiaggia “animal friendly”, rispettivamente in località Manti ed in Località Pilati.

Con una memoria depositata il 10 febbraio 2014, l’Amministrazione, in considerazione della emanazione del provvedimento succitato, ha chiesto che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere.

All’udienza del 16 aprile 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Preliminarmente il Collegio ritiene non accoglibile la richiesta formulata dall’Amministrazione resistente e finalizzata ad ottenere una sentenza che dichiari la cessazione della materia del contendere, per le seguenti ragioni.

In primo luogo, la cessazione della materia del contendere si determina quando l’operato della Amministrazione, successivo alla emanazione del provvedimento gravato, si rivela integralmente satisfattivo dell’interesse azionato (Cons. St. sez V 3 maggio 2012, n. 2135; Cons. St. sez VI, 16 aprile 2012, n. 2135) .

Nel caso di specie, l’Amministrazione ha emanato il provvedimento di rettifica in sede di esecuzione dell’ordinanza propulsiva emessa dal TAR di Reggio Calabria, e non in sede di autotutela, occasionata dalla medesima ordinanza.

In secondo luogo, rilevano nel caso di specie i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sui rapporti tra l’ordinanza cautelare, che ordina il cd riesame, e l’atto emanato in sede di esecuzione della medesima ordinanza.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare (cfr in termini TAR Reggio Calabria Sent. N. 152/2014) che - quando è emesso un atto in sede di riesame, per eseguire l’ordinanza cautelare ‘propulsiva’ e anche se esso ha un contenuto favorevole all’originario ricorrente - non si determina né la cessazione della materia del contendere, né la sopravvenuta carenza di interesse.

Una tale pronuncia di rito, ad un tempo, violerebbe i principi fondanti il processo amministrativo relativi alle sopravvenienze in corso di giudizio e lederebbe altresì le posizioni di entrambe le parti.

Da un lato, infatti, sarebbe leso il ricorrente il quale ha titolo, se il ricorso risulta fondato, alla definitiva rimozione degli effetti dell’atto impugnato ed all’accertamento giurisdizionale di una illegittimità che può essere funzionale ad un eventuale risarcimento del danno, oltre ovviamente al ristoro delle spese processuali ed alla restituzione del valore del contributo unificato, ove versato.

Dall’altro lato sarebbe leso l’interesse della stessa amministrazione, poiché anch’essa ha titolo alla sentenza che si pronunci sulla fondatezza del ricorso e sulla legittimità dell’atto impugnato, in quanto – se il ricorso risulta infondato – la sentenza di reiezione comporta la caducazione del provvedimento emesso in sede di riesame e la reviviscenza degli effetti dell’atto sospeso in sede cautelare.

In terzo luogo, nel caso di specie va rilevato che il provvedimento impugnato ha una efficacia ad tempus e che ragionevolmente il suo contenuto potrebbe essere il medesimo di quello dei provvedimenti emessi per la balneazione per gli anni successivi: rilevano dunque i principi riguardanti la portata conformativa delle sentenze del giudice amministrativo, poiché – nel caso di accoglimento del ricorso – l’ulteriore esercizio dei poteri comunali non potrà non tenere conto dei principi formulati all’esito della controversia.

5. L’ Amministrazione resistente ha altresì eccepito la inammissibilità del ricorso, perche non sono stati impugnati gli atti presupposti, cioè il Regolamento per la disciplina di utilizzo del demanio marittimo e il Piano Comunale di Spiaggia,

Tale eccezione è infondata.

Infatti, sia il Regolamento che il Piano di Spiaggia non contengono alcuna diposizione che abbia inciso immediatamente sugli interessi delle ricorrenti.

L’art. 32 del citato Regolamento, che detta i principi e le previsioni per la gestione delle aree destinate alla libera balneazione, non contiene alcuna previsione in ordine a limiti o a divieti, che riguardino la conduzione di animali su spiagge libere, ed altrettanto non è rinvenibile alcuna disposizione in tal senso nel Piano di Spiaggia .

Tali atti presupposti hanno previsto che proprio in sede di emanazione dell’ordinanza – avente efficacia annuale – l’Amministrazione comunale determini i comportamenti dovuti o vietati, per rispettare le esigenze di decoro, igiene e pulizia.

Ne deriva che il primo e unico atto che effettivamente abbia leso l’interesse delle ricorrenti è rappresentato dalla ordinanza gravata.

5. Passando al merito del ricorso, il Collegio lo ritiene fondato e dunque da accogliersi.

5.a Le ricorrenti deducono che l’ordinanza balneare gravata - all’art 4, lett. g) – irragionevolmente impone ai conduttori di animali il divieto – salvo il caso dei cani di salvataggio e dei cani guida di portatori di handicap - di accesso alle spiagge libere, in assenza di una motivazione che giustifichi tale scelta e senza specificare quali cautele comportamentali siano necessarie per la tutela dell’igiene delle spiagge, ovvero della incolumità dei bagnanti.

Esse deducono altresì il difetto di motivazione, la manifesta irragionevolezza e la violazione del principio di proporzionalità, circa il rapporto tra le esigenze pubbliche da soddisfare e l’incidenza sulle sfere giuridiche dei privati.

La totale assenza di motivazione, infatti, non consentirebbe di apprezzare se esso sia riferibile a ragioni riconducibili all’igiene dei luoghi ovvero alla sicurezza di chi frequenta le spiagge.

In ogni caso, la motivazione del provvedimento avrebbe dovuto contenere una specifica giustificazione delle misure adottate, che consentisse di verificare il rispetto del principio di proporzionalità, poiché l’Autorità comunale avrebbe dovuto individuare le misure comportamentali ritenute più adeguate, piuttosto che porre un divieto assoluto di accesso alle spiagge.

Di fatto tale limitazione alla libertà personale costituirebbe un limite non consentito alla libera circolazione degli individui.

Le ricorrenti evidenziano anche come l’ordinanza sarebbe in contrasto con i principi espressi nella legge regionale 5 maggio 1990, n. 41 (“Istituzione anagrafe canina, prevenzione randagismo e protezione degli animali”), che si prefigge all’art. 1 la finalità di realizzare sul territorio della Regione un corretto rapporto uomo-animale-ambiente.

5.b Le prospettate censure meritano accoglimento.

Il provvedimento impugnato è illegittimo per difetto di motivazione, come dedotto dalle ricorrenti.

L’obbligo motivazionale contenuto nell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 sancisce un principio di portata generale, al quale sono poste limitatissime eccezioni espressamente rese esplicite dal legislatore ovvero individuate in sede giurisprudenziale.

Al di fuori di tali eccezioni, si applica il principio generale per cui il provvedimento lesivo deve rendere note le ragioni poste a sua base, nonché l’iter logico seguito dall’Amministrazione, e ciò per evidenti ragioni di trasparenza dell’esercizio del pubblico potere.

Nel caso di specie, l’ordinanza ‘balneare’ impugnata è riconducibile nella categoria degli atti a contenuto generale (non avendo rilievo in questa sede se abbia o meno natura regolamentare), in quanto indirizzata ad una pluralità indeterminata di destinatari.

Tale natura giuridica non comporta tuttavia di per sé una eccezione all’obbligo di motivazione, perché – in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 – la giurisprudenza ha più volte chiarito che si applica in materia il principio di esigibilità, per cui comunque occorre una motivazione, quando ciò sia compatibile con le caratteristiche del provvedimento in questione: ad esempio, mentre per le varianti generali agli strumenti urbanistici non occorre una specifica motivazione sulle singole determinazioni incidenti sui vari interessati, non v’è dubbio che una motivazione occorra quando si tratti di varianti urbanistiche aventi un ambito limitato di applicazione, ovvero di atti generali emanati da Autorità indipendenti, incidenti su posizioni di una pluralità indeterminata di destinatari.

Lo stesso principio si applica quando autorità locali intendano limitare l’utilizzazione di auto o di altri veicoli a motore, limitare gli orari di apertura di esercizi pubblici o aperti al pubblico: anche l’ordinanza che regola le condotte consentite e quelle vietate – circa l’uso del demanio marittimo – deve essere motivata, evidenziando quali specifiche esigenze vadano soddisfatte, in correlazione alle limitazioni delle libertà, che ne conseguono.

In sostanza, negli atti che rientrano nella categoria in esame la disciplina dell’obbligo di motivazione attiene alla dimostrabilità della ragionevolezza delle scelte operate dalla PA, che, nella odierna fattispecie, per le ragioni di censura su cui la difesa delle ricorrenti ampiamente si sofferma, e che trovano la condivisione del Collegio, non è ravvisabile.

5.c Invero, il provvedimento impugnato è, altresì, illegittimo sotto il connesso profilo della violazione del principio di proporzionalità.

Il principio di proporzionalità di matrice comunitaria, immanente nel nostro ordinamento in virtù del richiamo operato dall’art. 1 della legge n. 241/1990, impone alla pubblica amministrazione di optare, tra più possibili scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, per quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, onde evitare agli stessi ‘inutili’ sacrifici.

Nel caso in esame, la mancata esternazione nel provvedimento gravato anche di quale sia l’interesse pubblico concretamente perseguito attraverso l’imposizione del divieto contestato non impedisce la formulazione di un giudizio di sproporzione tra l’atto adottato ed il fine con esso perseguito.

La scelta di vietare l’ingresso agli animali – e, conseguentemente, ai loro padroni o detentori – sulle spiagge destinate alla libera balneazione, risulta irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata: l’amministrazione avrebbe dovuto valutare se sia possibile perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell’igiene e della sicurezza mediante regole alternative al divieto assoluto di frequentazione delle spiagge, ad esempio valutando se limitare l’accesso in determinati orari, o individuare aree adibite anche all’accesso degli animali, con l’individuazione delle aree viceversa interdette al loro accesso.

6. Per le ragioni si qui esposte, il ricorso è fondato e va accolto, sicché il provvedimento in esame va annullato, nei limiti oggetto della impugnazione.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato nei limiti d’interesse e dunque limitatamente all’art. 4, lettera g).

Condanna il Comune di Melito di Porto Salvo al pagamento delle spese processuali, che liquida complessivamente in Euro 1.500,00 oltre alla restituzione a favore delle ricorrenti dell’importo del contributo unificato.